arte con sega chiodi e martello

L’arte fatta con sega, chiodi e martello

GIULIANOVA – Dentro il Torrione di Palazzo Re a Giulianova c’è un menhir. Chi l’ha visto ha avuto modo di conoscerne la forza espressiva; ha sperimentato l’immobilismo corporeo della contemplazione; si è immerso in una sconosciuta frattura dello spazio-tempo. Chi l’ha visto ha ammirato, riflettuto, forse pregato. Chi l’ha visto non se l’aspettava. Un monolite originale, spiazzante, che molti vorrebbero rivedere.

Fortunati loro, quindi, perché dalla prossima settimana sarà di nuovo possibile. L’opera rimarrà aperta al pubblico per altri sei giorni, dal 13 al 15 e dal 20 al 22 gennaio. Nel frattempo, per comprenderne meglio il significato e la genesi, abbiamo incontrato gli autori.

Cinque artisti, Giustino Di Gregorio, Claudio Pilotti, Fabio Perletta, Manuela Cappucci e Gabriele Esposito, uniti in un percorso complesso e multidisciplinare che il caso o il destino ha fatto si che conducesse alla realizzazione del progetto MEN-HIR (Higher Interconnection Research).

 

Si replica. Ve l’aspettavate? Com’è stata l’affluenza?

“Onestamente non ci aspettavamo una replica: in  realtà  la genesi dell’opera è stata talmente rapida che non ci ha lasciato molto tempo per crearci delle aspettative. Abbiamo soltanto cercato di ascoltare il luogo e di ascoltarci reciprocamente. L’affluenza è stata buona ma soprattutto ci ha colpito l’attenzione di chi è entrato nella torre: abbiamo visto le persone entrare ed uscire soltanto dopo parecchio tempo e con delle interpretazioni che colpivano davvero nel segno”.

 

Prima di parlare dell’opera, raccontateci come vi siete incontrati

“Giustino e Claudio avevano già lavorato insieme in diversi progetti così come Manuela e Fabio. In realtà dobbiamo ringraziare due ‘creatori di link’: il circolo culturale ‘Il Nome della Rosa’ di Giulianova che è un luogo ricco di iniziative e aperto a nuove proposte culturali ed artistiche e gli ‘ArchitettiSenzaTetto’, un gruppo di creativi pescaresi che con la loro generosa e disinteressata attenzione a ciò che si muove nel sottobosco delle città e delle province d’Abruzzo (e non solo), attraverso  le  loro ‘interviste itineranti’, hanno permesso ai membri del gruppo ci riconoscersi e di trovarsi intorno a questo progetto”.

 

Perché il menhir? A chi è venuto in mente?

“Già dai primi incontri, è nata la consapevolezza della grande opportunità che avevamo di lavorare in un contesto estremamente suggestivo, quasi magico, come il torrione rinascimentale custodito all’interno di Palazzo Re, nella Giulianova storica. Abbiamo cercato di valorizzare al meglio lo spazio circolare e la cupola pensando l’ambiente come un microcosmo e permettendo ai visitatori di muoversi intorno ad una sorta di asse multimediale, accompagnati dai suoni di Fabio. Ci piaceva  l’idea di creare un ambiente in cui lo sguardo dei visitatori potesse soffermarsi sulla pittura di Manuela per poi alzare lo sguardo e lasciarsi catturare dalle proiezioni di Giustino e Claudio e viceversa, nel rispetto dei tempi e dei modi che appartengono ad ognuno. Il menhir poi comunica un senso di mistero che si perde nella notte dei tempi: ci sono molte interpretazioni sul significato di queste pietre conficcate nel terreno”.

 

La vostra opera è decisamente complessa: è un monolite, ma è composto, arricchito da simbologie moderne e antiche. Ci date qualche elemento interpretativo?

“Questa è decisamente una domanda difficile, più che altro perché tutti noi siamo legati ad un linguaggio sia estetico che concettuale e siamo convinti che l’equilibrio o anche la disarmonia voluta siano di per sé comunicativi, un po’ come se l’arte potesse  parlare una propria  lingua  che ognuno decodifica a suo modo.. e, ascoltando il feedback dei visitatori, è un po’ quello che è accaduto e che ci ha spinto a prolungare l’esperienza oltre il tempo previsto. Per quanto riguarda gli elementi interpretativi possiamo soltanto rimandare alla genesi dell’opera: abbiamo cercato di lavorare sulle antitesi materiale/virtuale, passato/futuro, terra/cielo e la presenza spigolosa dell’uomo all’interno di una armonica rotondità cosmica, e forse anche su altre che in questo momento ci sfuggono…”

 

Come l’avete costruita?

“Sega, chiodi e martello! La parte strutturale proprio così e, ci teniamo a dirlo, tutto da soli, da veri artisti-artigiani. Le competenze di Claudio e di Gabriele, che è architetto, sono state preziose in questa fase come nella progettazione dello spazio. Tutto è stato costruito all’interno della torre anche perché il corridoio di ingresso è davvero stretto e non permetteva l’ingresso neanche di semi-lavorati. Non vi diciamo lo sguardo stupito (e un po’ preoccupato) del padrone di casa quando ci ha visto entrare con la sega circolare e i listelli di legno…ma, per fortuna, si è fidato”.

 

Il Torrione di Palazzo Re è una scenografia davvero suggestiva. Come l’avete scelta?

“Un po’ per caso: una sera d’estate, il signor Luigi Re ci ha invitato a visitare la sua casa e quando siamo entrati nella torre ci si è aperto uno scenario di incredibile suggestione dovuta anche all’ effetto sorpresa perchè è un tesoro rinascimentale  custodito in un involucro ottocentesco e nessuno se lo aspetta. Abbiamo subito avvertito la magia del posto  e il desiderio di lavorare al suo interno con il rispetto dovuto al luogo e ai padroni di casa che lo custodiscono restituendolo alla collettività anche attraverso progetti di questo tipo”.

 

State preparando qualcos’altro?

“E’ troppo presto per pensare ad altro: sentiamo tutti di aver dato il meglio di noi stessi in questo lavoro comune ed è stato notato da molti come Menhir sembri nato da una sola mente. E’ un risultato davvero gratificante, soprattutto considerato che alcuni di noi, pur stimandosi, si sono conosciuti artisticamente e umanamente proprio lavorando al Menhir. D’altro canto la libertà è alla base dell’autenticità dell’arte e costituire ‘ufficialmente’ un gruppo fa paura a tutti noi… forse è anche per questo che ci siamo scelti”.

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